Alma Adelina Sejdini ha solo 15 anni quando viene rapita, stuprata, picchiata e poi costretta ad attraversare l’Adriatico in gommone per prostituirsi in Italia. Ma arrivata in Italia, Adelina usa tutta la sua forza per ribellarsi ad un destino ormai segnato: un futuro nel mondo della prostituzione sotto il controllo del racket albanese. Grazie al suo coraggio, riesce a denunciare i suoi sfruttatori, e collabora con le forze dell’ordine facendo arrestare 40 persone e denunciandone altre 80. Il coraggio di Adelina nasce dal suo sogno: iniziare una nuova vita in Italia ottenendo la cittadinanza italiana; è per questo che lotta incessantemente per tutta la vita.
Ma ad un certo punto le viene diagnosticato un tumore. Le sue battaglie si fanno ancora più dure: senza una casa, con problemi economici che rendono più difficili anche le cure lei non si dà per vinta; continua a chiedere e a seguire il suo sogno ma quello che le viene offerto è la cittadinanza albanese che lei rifiuta, perché tornando in Albania la malavita l’avrebbe ammazzata, perdendo così anche lo stato di apolide.
Perde così tutti i diritti e diventa “invisibile”.
Stremata, Adelina decide di andare a Roma con la speranza di incontrare il Presidente della Repubblica e di poter risolvere così il problema che le impedisce di avere la cittadinanza. Non riuscendoci, decide di porre fine alle sue, sino a quel momento, inutili battaglie; il 28 ottobre scorso, davanti al Viminale in un gesto estremo di protesta si cosparge di alcool e si dà fuoco, nel tentativo di suicidarsi.
Viene soccorsa e salvata ma purtroppo la disperazione non la abbandona. Lei che è passata attraverso violenze, stupri, sofferenze gratuite quali quella provocata da chi le «tagliò una gamba con le forbici e le cosparse le ferite di sale per farmi più male», decide di arrendersi; il 9 novembre sempre più sola e disperata Adelina si lancia dal cavalcavia ferroviario di ponte Garibaldi a Roma terminando per sempre tutte le sue battaglie.
Sono le 7.30 del mattino quando il 13 gennaio del 1998 Alfredo Ormando, scrittore e poeta siciliano, omosessuale, si cosparge i vestiti di benzina e si dà fuoco davanti alla basilica di S. Pietro simbolo della cristianità nel mondo. Tre in particolare sono le cose contro le quali Alfredo vuole protestare: l’indifferenza della società, il rifiuto della famiglia, l’atteggiamento della Chiesa verso i “diversi”. Dieci giorni dopo muore devastato dalle terribili ustioni. “Non sono neanche riuscito ad ammazzarmi” dice quando gli agenti di polizia e le guardie svizzere spengono le fiamme che gli divorano la pelle e i vestiti. Nella lettera d’addio che lascia scrive parole terribili “Il mostro se ne va per non mettervi più in imbarazzo”. “Chiedo scusa se sono venuto al mondo”. E ancora: “Se la benzina non farà il suo dovere bruciatemi e spargete le mie ceneri in campagna”.
Aimee Mullins è una splendida donna, è un’atleta, una modella, un’attrice e un’attivista. Aimee ha una particolarità: a differenza della gran parte delle persone lei possiede 12 paia di gambe.
In realtà lei è nata con due ma non ha ancora compiuto il suo primo compleanno, che a causa di una malattia le sue gambe vengono amputate sotto il ginocchio.
Non è stato facile affrontare tutto questo da bambina ma con il passare degli anni Aimee decide di rifiutare sia l’etichetta di disabile sia di considerarsi e sentirsi tale.
Ha deciso che i suoi arti artificiali, le protesi, le avrebbero conferito dei superpoteri che gli altri avrebbero solo potuto sognare. E i suoi “superpoteri” infatti le hanno consentito di battere tre record mondiali di atletica leggera, di fare la modella e l’attrice, e di essere classificata dalla rivista americana People fra le 50 persone più belle al mondo.
“Laddove gli altri vedono una limitazione, io vedo una possibilità” dice Aimee; perché “le avversità sono solo cambiamenti a cui non ci siamo ancora adattati.”
In una TED a cui partecipa racconta di una scoperta fatta qualche tempo prima. Mentre scrive un articolo si rende conto di non avere mai cercato nel dizionario dei sinonimi il significato della parola disabilità e decide perciò di farlo.
Ecco cosa legge:
”Disabile, aggettivo: danneggiato, indifeso, inutile, rovinato, ritirato, menomato, ferito, straziato, zoppo, mutilato, indebolito, consumato, impoverito, impotente, castrato, paralizzato, handicappato, senile, decrepito, tolto dalla circolazione, sfatto, strambo, tagliato fuori; vedi inoltre ferito, inutile, debole. Contrari: in forma, forte, abile”
Queste parole creano in lei uno shock ed un impatto emotivo fortissimo.
Da questa definizione deduce di essere nata in un mondo che in una persona come lei non vede niente di positivo; “non si tratta solo di parole ma queste rispecchiano quello che crediamo delle persone quando le nominiamo con queste parole; si tratta dei valori che stanno dietro a queste parole, e come li costruiamo questi valori”.
Il nostro linguaggio influenza il nostro pensare, la nostra visione del mondo e come vediamo le altre persone.
Adelina, Alfredo, Aimee sono persone che, oltre all’iniziale del nome, hanno in comune un’identità e una storia che li rende diversi, o, preferiamo dire, non comuni.
La nostra società, sempre più globalizzata, multiculturale, multietnica è sempre più caratterizzata da quella che per la psicologia è “la paura del diverso”.
Se è vero che su molti versanti si sono fatti enormi passi avanti, è anche vero che la paura di tutto ciò che non ci assomiglia o meglio, vorremmo non ci assomigliasse, assume dimensione e connotazioni quasi patologiche che forse non vogliamo ammettere neanche a noi stessi. Arriviamo a sperare e desiderare che donne e uomini che fuggono disperati dalla loro terra con i loro bambini muoiano in mare o che possano anche venire rinchiusi e torturati in lager ai quali difficilmente potranno sopravvivere; esultiamo e festeggiamo, purtroppo anche nelle nostre istituzioni più alte, quando vengono tolti diritti alle persone meno tutelate solo perché hanno un orientamento sessuale diverso o vengono bullizzati per le loro differenze fisiche che chiamiamo disabilità.
Solo un lungo cambiamento culturale, sociale individuale può portare ad avvicinare le diversità per conoscersi, incontrarsi e abbandonare la percezione della pericolosità dell’altro e la paura del rischiare la propria individualità. E il cambiamento sociale avviene attraverso il cambiamento culturale e viceversa.
Aimee Mullins afferma che il cambiamento in lei è avvenuto perché è stata esposta più alle persone che le hanno aperto la porta che a quelle che l’hanno ostacolata.
E dice queste potentissime parole “Se potete dare a qualcuno le chiavi della sua forza, ed aprire una porta per lui in un momento cruciale, gli state insegnando ad aprirsi le porte da solo.”
Attraverso i percorsi che proponiamo come Artemisia vogliamo aiutare le persone ad avere le chiavi della loro forza, ad aprirsi le porte da soli ma anche contribuire a creare un contesto sociale in cui il concetto di fondo non è quello della “normalità” ma quello della potenzialità, della possibilità di vedere la bellezza di ognuno e in ognuno.